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CULTURA

L'intervista

25 aprile, il ricordo di Luciana Castellina: "Ruolo delle donne ancora sottovalutato"

"Noi siamo stati una generazione molto privilegiata perché il 25 si schiudeva un mondo che non conoscevamo, che era diverso, ma che eravamo anche sicuri di poter rendere meraviglioso"

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di Emilio Fuccillo
Ripercorriamo i giorni della Liberazione insieme a Luciana Castellina, tra i fondatori del Manifesto ed una delle più importanti figure femminili nella vita italiana del dopoguerra. Con lei abbiamo parlato del ruolo della donna nella Resistenza, "ancora sottovalutato", dei suoi ricordi di quel periodo e di cosa può, oggi, minacciare la pace mondiale.

Del 25 aprile dice: "Spesso il 25 aprile e il 1 maggio si usavano per fare una scampagnata, oggi si sente quasi il dovere di partecipare alle manifestazioni perché il 25 aprile è il punto di partenza del processo che ha portato alla stesura della nostra Costituzione repubblicana, e in questo momento che la Costituzione è minacciata e tanti diritti conquistati sono minacciati, in cui la democrazia si è impoverita, la Liberazione acquista un significato più importante".
  
Sono passati settanta anni dalla Liberazione, dal 25 aprile del 1945, che ricordi ha di quel giorno?
Ho un ricordo abbastanza infantile. Per me, per noi il 25 aprile è stato preceduto dalla liberazione di Roma, nel ’44. E' stato un giorno di grande gioia e sollievo, ma non ha coinciso a Roma con la liberazione vera e propria. Stavamo cercando di capire cosa sarebbe stato il mondo nuovo, era un momento di grande speranza. Noi siamo stati una generazione molto privilegiata perché con il 25 aprile si schiudeva un mondo che non conoscevamo che era diverso, ma che eravamo anche sicuri di poter rendere meraviglioso.

Fortunata per aver vissuto il dopoguerra ma sfortunata se si pensa che, comunque, quella generazione la guerra l’ha vissuta. Che ricordo ha di quegli anni?
Quelli della mia età (Luciana Castellina è nata nel 1929 ndr), hanno avuta la fortuna di non dover fare la guerra. Certo già quelli che avevano 3 o 4 anni più di noi l’hanno fatta e hanno fatto la resistenza, conoscendone tutte le sofferenze. Soprattutto per noi che stavamo a Roma è stato più facile. Non dobbiamo dimenticare che Roma ha vissuto una condizione particolare, non ci sono stati bombardamenti, il fronte era lontano, tra centro-nord Italia e Roma la differenza è stata profonda.  La guerra l’abbiamo conosciuta, certo, abbiamo conosciuto la persecuzione e Roma occupata dai tedeschi. Ho un ricordo pieno di drammi, ma sento la differenza. A Torino, Milano, Bologna era diverso…
 
Parlando di Liberazione non si può non parlare di resistenza e partigiani, quale fu il ruolo delle donne all’interno di questi?
Un ruolo forse ancora sottovalutato. Della resistenza si è fatta forse una ricostruzione troppo militare. Da questo punto di vista le donne hanno giocato un ruolo: ci sono state le staffette partigiane e le donne combattenti. Credo però che per descrivere la resistenza si debba usare la formula coniata dallo storico Giorgio Candeloro: ‘società partigiana’. E la società partigiana comprendeva tutti, uomini, donne, bambini e vecchi. E in questo contesto le donne sono state essenziali, basti pensare a cosa ha significato nutrire i partigiani, un compito affidato soprattutto alle donne. 

Quale fu invece il ruolo delle donne nella ricostruzione, non solo fisica, del dopoguerra? Il diritto di voto divenne in Italia universale solo nel 1945.
Le donne votano per la prima volta nel ’46. E’ interessante ricordare a questo proposito un dibattito che ci fu nel PCI: una parte era contraria ad estendere il diritto di voto alle donne perché, sosteneva, queste avrebbero votato in massa per la Dc seguendo i consigli del parroco. Togliatti, ricordo, fece un discorso molto duro dicendo che non era quello ad essere importante, importante era che le donne partecipassero alla vita collettiva, alla vita democratica. Fu un riconoscimento ed un’osservazione decisiva per lo sviluppo del movimento delle donne, la presa di coscienza che la democrazia è partecipazione e non solo voto.
 
Come viene vissuto il 25 aprile oggi, dalle nuove generazioni?
Le date e la memoria hanno sempre un significato diverso ogni volta che la memoria si celebra. Ci sono stati anni in cui la celebrazione è stata retorica. Quest’anno credo che avrà un grande significato, più forte di prima. Spesso il 25 aprile o il 1 maggio si usavano per fare una scampagnata, oggi si sente quasi il dovere di partecipare alle manifestazioni perché il 25 aprile è il punto di partenza del processo che ha portato alla stesura della Costituzione repubblicana. E in questo momento che la Costituzione è minacciata come tanti diritti conquistati, in cui la democrazia si è impoverita arrivando a sembrare facebook, dove qualcuno decide e un altro dice 'I like' o 'I don't like', il 25 aprile acquista un significato più importante.
 
Dalla fine della II guerra mondiale e sino alla caduta dell’Unione Sovietica, la paura nucleare ha paradossalmente contribuito al mantenimento della pace, almeno in Europa, cosa oggi può mettere a rischio la pace globale?
La pace è minacciata dalla disuguaglianza, non è pensabile che possa reggere un mondo in cui la disuguaglianza è tanto grande perché questo innesca dei drammi. Basta vedere quel che succede nel Mediterraneo. La forbice tra ricchi e poveri che si è così allargata, questo minaccia la pace. Viviamo in un mondo ingiusto in cui si riconoscono i diritti dei forti e non quelli dei deboli. Pensiamo anche solo al nucleare: non è pensabile che noi, perché bianchi e forti, possiamo avere la bomba e gli altri no. E' difficile arrivare al disarmo o anche chiedere all'Iran di non avere la bomba quando lo stesso giorno gli Usa violano il trattato di non proliferazione. Un trattato dove si stabilisce anche di ridurre, per chi li ha, gli arsenali esistenti. E mentre a Losanna si siglava l'accordo con Teheran, gli Usa sperimentavano un'arma nucleare più potente nel Pacifico. In un mondo così squilibrato ed ingiusto i pericoli di disordine e di guerra diventano molto più forti.