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MONDO

Cerimonia a New York e Washington

11 settembre, l'America ricorda a le vittime dell'attentato. Obama: "Distruggeremo l'Isis"

Alla cerimonia anche il presidente Barack Obama e la first lady. Verranno letti i 2752 nomi delle vittime morte nell'attentato del 2011. La Casa Bianca: "Raid anche sulla Siria". Ma Regno Unito e Germania frenano. Dieci Stati musulmani in una coalizione contro l'isis

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Obama a Ground Zero
A Ground Zero regna il silenzio, c'è solo il suono dei passi di chi porta le corone funebri: è l'11 settembre, e per la tredicesima volta New York e l'America ricordano l'attentato del 2001. Sul posto ci sono anche il presidente degli Stati Uniti e la first lady: anche loro si uniscono al minuto di silenzio per il ricordo delle vittime, a poche ore dall'annuncio del presidente di estendere i raid contro lo Stato islamico. 

"L'America sarà sempre l'America"
Poi, il discorso di Obama, che ricorda "tutti coloro che sono morti e hanno sacrificato la loro vita". E il presidente dice alla nazione: "Come americani non possiamo abbandonarci alla paura, l'America resiste". Nel suo discorso, ricorre molte volte la parola "speranza" e la frase che lo conclude è un monito per tutti: "L'America sarà sempre l'America". 

I famigliari delle vittime a Ground Zero
L'area aperta normalmente al pubblico è stata chiusa per permettere ai famigliari di partecipare alla cerimonia di commemorazione. Verranno letti, fino a stasera (stanotte per l'Italia, qui la diretta da New York) i nomi di tutte le vittime. Quest'anno, per la prima volta, c'è un museo-memoriale inaugurato a maggio dallo stesso Obama. 

Il discorso di Obama
"Li colpiremo ovunque. Li distruggeremo. Non c'è alcun rifugio sicuro per chi minaccia l'America", queste le parole di Obama alla nazione, a poche ore dall'anniversario dell'11 settembre. Il presidente ha spiegato la necessità di lanciare una nuova offensiva militare contro il terrorismo islamico. Quello degli jihadisti dell'Isis che avanza in Iraq e Siria, e che rischia di diventare un pericolo serio anche per l'Occidente. Il presidente degli Stati Uniti ha anche annunciato che invierà a Baghdad altri 475 soldati, che insieme ai consiglieri militari già inviati nelle scorse settimane faranno salire la presenza armata degli Usa in Iraq a circa 1.600 unità. Il loro compito non è quello di partecipare a missioni di combattimento, ha però ribadito il Pentagono, ma quello di difendere il personale Usa e di supportare, non sul campo, le forze irachene.

La strategia contro l'Isis
La strategia di Obama consiste in una campagna "sistematica" fatta di massicci bombardamenti aerei, quelli che ora colpiranno gli uomini del califfo al Baghdadi ovunque essi siano, anche in Siria. Raid che avranno l'obiettivo di sostenere l'azione delle truppe che combattono contro gli jihadisti sul campo: iracheni, curdi e i gruppi di ribelli siriani considerati più moderati che riceveranno aiuti militari. "Ma non ci possiamo fidare del regime di Assad - ha chiarito il presidente Usa - un regime che terrorizza il suo popolo".  

La risposta europea
Intanto arrivano le prime reazioni al discorso da Washington. La Germania, attraverso il ministro degli Esteri Steinmeier fa sapere che non parteciperà ai raid in Siria e che comunque non gli è stato richiesto. La strategia nel Regno Unito non è però chiara. Da Londra, il ministro degli Esteri Philip Hammond assicura nel pomeriggio di giovedì che gli inglesi non avrebbero partecipato ai raid aerei. Ma poche ore dopo, un portavoce del governo chiarisce che il premier David Cameron "non ha escluso alcunché" su eventuali bombardamenti in Siria aggiungendo, per contenere i danni, che Hammond sarebbe stato male interpretato dai giornalisti. 

La coalizione di dieci Stati
E dal Medio oriente, dieci Paesi musulmani hanno accettato di partecipare alla vasta coalizione proposta dagli Usa per combattere l'Isis in Iraq e in Siria. E' quanto si legge in una nota congiunta diffusa al termine di un incontro tenutosi a Gedda tra il segretario di Stato americano, John Kerry, e i rappresentanti di dieci Paesi musulmani. Si tratta dei sei Stati del Consiglio di Cooperazione del Golfo (Qatar, Emirati, Oman, Bahrain, Arabia Saudita, Kuwait), Giordania, Egitto, Libano e Turchia. Ogni Paese contribuirà alla coalizione nella forma "ritenuta appropriata", si legge nel comunicato.