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POLITICA

Il testo dovrà tornare al Senato

Jobs Act, il voto finale alla Camera: Cuperlo e Civati voteranno 'no', Bersani "sì per disciplina"

Il via libera arriva con un giorno di anticipo sulla tabella di marcia. Trenta deputati Pd pronti a non votare il consenso, minoranza dem divisa tra chi uscirà dall’Aula e chi voterà no. Lega, FI, Sel e M5S via dall'emiciclo al momento del voto

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Il via libera dell'Assemblea di Montecitorio è arrivato oggi, con un giorno di anticipo rispetto alla tabella di marcia a suo tempo stabilita dalla conferenza dei capigruppo. Il provvedimento per avere l'ok definitivo, dovrà però tornare in Senato, visto che il testo è stato modificato dalla commissione Lavoro dove sono stati approvatigli emendamenti frutto dell'accordo tra il governo e la minoranza Pd che puntava a ridimensionare la possibilità di modificare lo Statuto dei lavoratori.

Tra le novità introdotte durante l'esame in Commissione, c'è la norma che da una parte esclude per le nuove assunzioni la possibilità di reintegro per i licenziamenti economici (prevedendo solo un indennizzo "certo e crescente con l'anzianità di servizio") e dall'altra parte conserva il diritto al reintegro nel posto di lavoro solo per i licenziamenti "nulli e discriminatori" e per "specifiche fattispecie di licenziamento disciplinare ingiustificato" che poi verranno definite nei decreti delegati dall'esecutivo.

In ogni caso, prima del voto finale sul Jobs act, previsto per la serata, gli esponenti della minoranza Pd che hanno deciso di non votare il provvedimento, si riuniranno alla ricerca di una linea comune. La scelta è tra uscire dall’Aula e non partecipare al voto (opzione caldeggiata da Gianni Cuperlo) o dire 'no' alla riforma (come ha già annunciato di voler fare Pippo Civati). La maggior parte dei deputati della componente di minoranza Area riformista, invece, dovrebbe votare sì.

E fuori dall'Aula, al momento del voto, andranno invece Lega, FI, Sel e M5S.

L’appello di Orfini: "Pd voti unito"
"Faccio un ultimo appello all’unità del Pd" sul Jobs act. Così il presidente del Pd Matteo Orfini. "Abbiamo raggiunto una larghissima unità sul testo, spero che per rispetto della discussione fatta, dei cambiamenti apportati, del lavoro di ascolto reciproco e della nostra comunità, si voglia fare tutti un ultimo sforzo in Aula", aggiunge.

Cuperlo: "Non ci sono condizioni per il sì"
Per Gianni Cuperlo non ci sono le condizioni per il sì: "Noi non ci sentiamo di esprimere un voto favorevole su Jobs act", annuncia il deputato dem, che caldeggia l'ipotesi di non esprimere il voto sul testo. "Il punto a cui si è arrivati - sottolinea - non è soddisfacente. Il problema non è come licenziare, ma come assumere". E anche secondo Pippo Civati bisogna dire 'no' alla riforma.

Fassina: "Non saremo un gruppo sparuto"
La maggior parte dei deputati della componente di minoranza Area riformista dovrebbe votare sì. Ma non per questo teme i numeri troppo bassi Stefano Fassina: "Per noi - afferma - è uno strappo rilevante, perché noi siamo parte della maggioranza, ma non voteremo per questa delega. Non saremo un gruppo sparuto, ma un numero politicamente impegnativo. E non temiamo conseguenze disciplinari". 

Bersani: "Sì per disciplina" 
Sul rischio di una fronda nel Pd, l'ex segretario Pier Luigi Bersani, invece non ha grandi timori e invita a non drammatizzare il dissenso: voterà il jobs act "per disciplina" anche se non condivide alcune norme. "Non è giusto parlare di fronde e la connessione con i risultati di ieri non c'entra niente", ha detto. "Siamo davanti a dei miglioramenti indiscutibili, di cui bisogna ringraziare i membri della commissione. C'è però un imprinting iniziale di queste norme - ha spiegato - che non convince. Il mio caso è il caso di uno che per la parte che condivide, voterà con convinzione. Per quella che non condivide, e continua a non condividere, voterà per disciplina, come si conviene a uno che ha fatto il segretario per quattro anni e che vuole ribadire che i legni storti si raddrizzeranno solo nel Pd, da nessuna altra parte".