2020, le foto simbolo di un'Italia che non dimenticheremo mai
Dall'infermiera stremata a fine turno al neonato che strappa la mascherina all'ostetrica, immagini, cronache e storie di un anno di pandemia
Quando iniziarono a circolare le prime immagini da Wuhan sembrava tutto tanto lontano. Giorno dopo giorno la megalopoli da 11 milioni di abitanti si svuotava, spuntavano barriere gialle e filo spinato, ai camici bianchi si sostituivano tute da "emergenza nucleare", i volti sparivano dietro le mascherine. Le notizie arrivavano alla spicciolata, incalzanti, ma scarne. "Virus misterioso", "virus di Wuhan", non c'era ancora neanche un nome. Né una pandemia.
A fine gennaio, il virus arriva in Europa, il 24 in Francia, il 28 in Germania. Poco più di una manciata di casi. In Italia, il 29 gennaio, una coppia cinese, sbarcata a Milano per un viaggio turistico, viene ricoverata all'ospedale Spallanzani di Roma. La diagnosi di positività al nuovo coronavirus arriva il 31 gennaio. Il giorno prima l'Oms dichiara che la pandemia è un'emergenza sanitaria globale'. Il premier Giuseppe Conte annuncia lo stato di emergenza e lo stop ai voli con la Cina e tranquillizza: "Non c'è motivo di panico e allarme sociale". Il 2 febbraio allo Spallanzani di Roma viene isolato il virus, annuncia il ministro della salute Roberto Speranza.
Quello dei cinesi sembra un caso isolato. L'Italia va avanti. Diodato vince il 70esimo Festival di Sanremo, Achille Lauro e Morgan (con Bugo) si prendono la scena. A Milano, a febbraio, è già primavera ed è tutto pronto per la settimana della moda. Per le strade si vedono ancora poche mascherine e molto disinfettante per le mani, quello sì che è già quasi esaurito.
Il 20 febbraio, al pronto soccorso dell'Ospedale di Codogno - poco più di 15 mila abitanti in provincia di Lodi - l'anestesista Annalisa Malara, sottopone al tampone Mattia Maestri: è positivo. Amante dello sport, 38 anni, rimane oltre tre settimane ricoverato in terapia intensiva, passando alla storia come il paziente 'uno'. Risulta contagiata anche la moglie. Darà alla luce la loro bambina in ospedale.
Quando viene scoperto il suo caso l'epidemia ormai è già partita. Oltre a quello di Codogno, grazie ai tamponi che fino ad allora non erano stati inseriti nei protocolli ospedalieri, vengono individuati altri focolai, come quello di Vo' Euganeo in Veneto. Anche da noi arrivano le zone rosse che dividono le famiglie. Passano giorni fatti di incontri a distanza al confine sotto lo sguardo dei militari che sorvegliano i posti di blocco.
Il 24 febbraio i positivi sono 222 positivi, 27 i pazienti in terapia intensiva. La curva dei contagi si impenna nel giro di pochi giorni: il 29 febbraio i nuovi positivi sono 1.049, il 3 marzo oltre 2mila e il 7 marzo si sfonda il tetto dei 5mila. Vengono riscontrati casi di covid-19 in tutte le regioni anche se ad avere il record di contagi è la Lombardia e il 2 marzo, con il primo caso individuato in Valle d'Aosta, tutte le regioni registrano almeno un caso di infezione. L'ondata è partita e si arresterà solo dopo un lockdown di 69 giorni durato dal 10 marzo al 18 maggio.
Arriva proprio nei primi giorni di marzo quella designata come foto simbolo della pandemia in Italia. Nello scatto, Elena Pagliarini, infermiera dell'ospedale di Cremona, alla fine del turno, si addormenta stravolta sulla scrivania, con ancora indosso il camice e la mascherina. Sul tavolo un lenzuolo bianco di protezione. La foto, scattata da un medico dell'ospedale, fa il giro del web. Ed è in questo preciso momento che la fredda cronaca si riempie di storie.
Storie comuni di piccoli e grandi atti di eroismo, di solidarietà, di sofferenza che uniscono l'Italia che lotta. Ci sono i medici, gli infermieri e il personale sanitario che mostrano i volti disfatti dalle ore di lavoro, con le tute che impediscono di mangiare, riposare, andare al bagno. Uomini e donne che la sera non possono tornare a casa per non contagiare le famiglie e che si ingegnano per portare ai malati quell'ultimo saluto dei parenti che gli è stato negato, che scrivono i loro nomi sulle mascherine e con frasi buffe cercano di strappare sorrisi che si possono solo immaginare.
Ci sono balconi da cui sventolano bandiere e cartelloni con la scritta "Andrà tutto bene" e l'arcobaleno disegnato dai bambini, amaro leit motiv dei giorni di chiusura. Balconi che diventano le nuove piazze, dove ci si incontra e si canta una canzone sperando che il cielo sia sempre più blu. Da cui si calano panieri pieni di cibo per chi non ne ha e si mettono lumini per chi non c'è più. Balconi su cui si fa ginnastica e si gioca a tennis o s'improvvisano picnic. La casa diventa il centro del mondo: palestra e ufficio, scuola e ristorante. Gli amici e i parenti si ritrovano in video chiamata. Smartphone e tablet riuniscono famiglie spezzate e portano parole di conforto a chi è ricoverato in ospedale.
Il 14 marzo l'Eco di Bergamo pubblica undici pagine di annunci mortuari. Sono i numeri di una catastrofe quelli scritti sul giornale della città più piegata dal coronavirus in Lombardia. Nei necrologi non viene mai nominato il coronavirus e mancano le date dei funerali che non possono esserci e delle messe in suffragio rimandate a data da definirsi. Le camere mortuarie sono colme. Il New York Times parte da quelle pagine per raccontare la pandemia.
Il 19 marzo sfila per le vie di Bergamo una lunga colonna di mezzi militari: trasportano i feretri delle vittime che non trovano più posto nel cimitero cittadino. Trentuno a Modena, le altre in vari centri in Friuli, del Piemonte e ancora a Piacenza, Parma, Rimini e Varese.
Il 21 marzo si raggiunge il picco della prima ondata con un incremento di 6.557 contagi. Quel giorno nelle terapie intensive sono ricoverate 2.857 persone e i morti sono 820 in 24 ore. E' il 27 marzo però la giornata più nera per l'Italia con 969 vittime in un solo giorno.
In una piazza San Pietro vuota, con il crocifisso ligneo conservato a San Marcello e l'immagine della Salus populi, Papa Francesco invoca la fine della pandemia: "Impauriti e smarriti, siamo chiamati a remare insieme. Da settimane sembra che sia scesa la sera. Fitte tenebre si sono addensate sulle nostre piazze, strade e città; si sono impadronite delle nostre vite riempiendo tutto di un silenzio assordante e di un vuoto desolante, che paralizza ogni cosa al suo passaggio: si sente nell'aria, si avverte nei gesti, lo dicono gli sguardi".
Il vuoto desolante è anche quello delle grandi città: Venezia, Firenze, Milano, malinconiche e immobili, sembrano cartoline, riprese dai droni.
Da un tetto di piazza Navona, deserta, Jacopo, diciotto anni e maglietta azzurra, imbraccia una chitarra elettrica davanti al tramonto e suona per Roma maestosa la colonna sonora di C'era una volta in America. Gli animali si riappropriano delle vie senza traffico. Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, da solo, rende omaggio ai caduti all'Altare della Patria mentre suonano le note del Silenzio.
E' sempre aprile quando torna a casa un altro Mattia. Non lo sa, ma l'Italia ha fatto il tifo per lui. Ha diciotto anni e prima di finire intubato in rianimazione, nell'Ospedale di Cremona di cui è il più giovane paziente di coronavirus, scrive alla madre: "Ce la farò". La sua storia apre spiragli di speranza. Come quella di Nonna Italica che sconfigge il Covid a 102 anni.
A maggio si prova a ripartire con la Fase 2, senza autocertificazioni ma anche senza abbracci. I ragazzi si preparano agli "esami al tempo del Covid", niente scritti alla maturità e orali in presenza, uno alla volta. Si torna nei musei a riempirsi di bellezza, negata per troppi mesi. Si immaginano spiagge con i divisori in plexiglass. A luglio, e precisamente il 14, c'è ancora un record negativo con 114 casi, e la curva si conserva piatta fino alla fine del mese. Poi in lenta progressione i casi ricominciano ad aumentare.
Il 22 agosto si superano nuovamente i mille casi giornalieri. Gli ospedali riaprono i reparti Covid chiusi. La foto simbolo della seconda ondata arriva da Palermo. Anche in questo caso la protagonista è una donna, un'operatrice del 118 che si addormenta stremata sul volante dell'ambulanza con il paziente a bordo mentre aspetta di entrare nell'ospedale di Villa Sofia. Attende il suo turno da otto ore.
Il 3 novembre, quando ormai si contano 28.244 contagi giornalieri, il presidente del Consiglio Conte firma un nuovo dpcm individuando tre differenti tipologie di rischio: zona rossa, arancione e gialla. Da quel momento ogni regione avrà quindi misure ad hoc in base a diversi parametri che ne segnano il livello di criticità. In questo secondo "semi lockdown" non ci sono file ai supermercati, surreali come quadri di Magritte, il lievito non manca ma non si fa più il pane, su qualche balcone restano i cartelli "Andrà tutto bene" con gli arcobaleni sbiaditi dalla pioggia e dal sole.
Il 3 dicembre, il numero di vittime in un giorno supera anche quello della prima ondata con 993 morti. Le luci delle feste illuminano città ancora una volta deserte. Tocca a un altro Mattia farsi portatore di un messaggio di speranza. Per il quotidiano l'Eco di Bergamo è la sua foto quella che meglio rappresenta questo Natale. E' stata scattata a maggio a Sassari: Mattia appena nato tira involontariamente la mascherina dell'ostetrica che lo tiene in braccio e che ha appena assistito la sua mamma in sala parto. Una foto che ricorda quella scattata a ottobre a Dubai, dove si è verificato un analogo episodio che ha avuto un forte risalto mediatico e che è un augurio perché arrivino i giorni in cui tutto sarà alle spalle.
Il 2020 si chiude con un bilancio drammatico per il nostro Paese: più di due milioni di casi e oltre 71 mila morti e una finestra di speranza aperta dall'arrivo dei primi vaccini. La meta non è ancora raggiunta, ma gli occhi fiduciosi di Claudia Alivernini, la giovane infermiera e prima vaccinata d'Italia indicano la strada.